Pasquale Pazzaglia
in mostra con Walter Vari
di Massimo Locci
Pasquale Pazzaglia e Valter Vari espongono insieme e in prima analisi non si capisce il motivo: l’opera del primo appare ancora profondamente legata al linguaggio della Pop-Art, quello del secondo ha radici nell’Espressionismo astratto e nell’Informale.
In verità le differenze più evidenti, più che il processo metodologico, riguardano i modi della comunicazione. Pazzaglia prende in prestito le modalità espressive della grafica pubblicitaria e gioca sui luoghi comuni, sulle facili correlazioni, sulle assonanze, sulla banalizzazione, sul decorativismo fine a se stesso con intenti dichiaratamente dissacratori.
L’effetto edulcorato e “disimpegnato”, il vuoto di contenuti, non sono che una presa di distanza dal contemporaneo e dai suoi modi di rappresentarsi: le pagine patinate dei rotocalchi, i lustrini della televisione, i falsi messaggi della pubblicità.
Il quadro è una provocazione, un modo di suscitare l’irritazione dell’osservatore in quanto cerca di suscitare in lui la sensazione di essere preso in giro, di essere chiamato ad ammirare pseudo opere e, pertanto, di dovere attribuire alle stesse un’aurea artistica. Esse riproducono tautologicamente sempre la stessa immagine e lo stesso concetto: la ripetizione seriale del processo toglie ogni residuo di contenuto, annulla totalmente il pathos e si spinge fino al limite del kitsch.
Valter Vari viceversa sembra programmaticamente orientato verso un assolutismo formale, un azzeramento della rappresentazione e della valenza materia. Il suo linguaggio è trasversale, in quanto sintesi di precedenti ricerche artistiche, ma è anche selettivo, in quanto conseguenza logica di valutazioni estetiche che gli appartengono e che sono la premessa per la riscoperta delle avanguardie artistiche del ‘900.
La propensione astratta è, come già per il Suprematismo di Malevic, la manifestazione della supremazia del significato rispetto al significante, della sensibilità interpretativa nei confronti della rappresentazione, l’esaltazione del concetto a detrimento dei caratteri figurativi della comunicazione.
Nelle formelle quadrate in terracotta l’assolutismo geometrico viene contaminato dal pattern materico e dalle fratture che Valter Vari stesso produce. Le trame derivanti dalle ricomposizioni delle forme (saldature-cuciture) rappresentano un suo linguaggio per segni, una sorta di grafismo elementare.
Questi segni non appartengono all’universo simbolico, in quanto non fanno riferimento ad alcuna raffigurazione del reale, né rappresentano una forma di scrittura, in quanto frutto di un processo non codificabile e non ripetibile. Questi segni sono la manifestazione di un impulso automatico, di un gesto trasgressivo che lo porta a spezzare le lastre: programmaticamente non possono rispondere ad una logica razionale, a un rigore compositivo. Anche in questo caso siamo di fronte ad una azione corrosiva, di rottura simboli, una manifestazione di disagio dell’artista rispetto a ciò che gli accade intorno.
In verità sono le cuciture che evidenziano le fratture: è come se Valter Vari ci invitasse a soffermarci a vedere oltre, a capire perché egli stesso compia un anacronistico lavoro, una fatica di Sisifo consistente prima nel realizzare con il magistero tradizionale le formelle, poi frantumarle e infine riassemblarle con la cura maniacale dei restauratori, esaltando le differenze e le sconnessioni.
Tutto ciò non avrebbe senso se egli volesse rendere evidente il suo distacco da alcune manifestazioni della contemporaneità. Un atteggiamento romantico e vagamente nostalgico che l’autore ritiene salvifico rispetto alla invadente tecnologia moderna.
Entrambi gli artisti, nonostante le differenze espressive, rivendicano un approccio soggettivo all’ideazione e concepiscono l’opera d’arte come teatro delle emozioni, come terapia soft e catartica rispetto al frastuono del vivere.
L’Astrazione Geometrica è un ulteriore riferimento culturale, un terreno di indagine reale, comune alle due ricerche, che si fonda sull’esigenza di utilizzare la geometria come strumento di riflessione, come mezzo per circoscrivere i fenomeni, come veicolo interpretativo.
“L’Artista si occupa di microspia”, asseriva Klee, rivendicando un criterio scientifico per l’espressione artistica.
Nella elencazione ordinata di elementi omogenei di Pasquale Pazzaglia, distinti solo per posizione o colore, si può rintracciare un equivalente valore statistico-matematico.
Le linee di frattura diligentemente catalogate da Valter Vari posseggono un medesimo significato classificatorio ed epifenomenico (accessorio rispetto a quello psicosensoriale).
L’obiettivo che essi perseguono è ancora una volta, come per le avanguardie storiche, fornire all’arte un fondamento scientifico interpretativo per verificare se si può sviluppare una attività creativa prescindendo dalla tradizione, dalle tecniche di rappresentazione canoniche, dei riferimenti storici.
Le finalità sono chiare, l’impegno è evidente, gli strumenti devono essere ancora perfezionati.
2001